Trama e scheda del film Interstellar
Titolo originale: Interstellar
Regia: Christopher Nolan
Paese e Anno: USA 2014
Cast: Matthew McConaughey, Jessica Chastain, Anne Hathaway, Wes Bentley, Casey Affleck, Michael Caine, Mackenzie Foy, Topher Grace, John Lithgow, Ellen Burstyn, David Oyelowo, Elyes Gabel, Bill Irwin, Timothée Chalamet, David Gyasi, Liam Dickinson, Matt Damon
Fotografia: Hoyte Van Hoytema
Montaggio: Lee Smith
Musiche: Hans Zimmer
Produzione: Paramount e Warner Bros
Distribuzione: Warner Bros.
Genere: fantascienza
Durata: 168 min.
Trama Interstellar
In un futuro imprecisato, un drastico cambiamento climatico ha colpito duramente l'agricoltura. Un gruppo di scienziati, sfruttando un "whormhole" per superare le limitazioni fisiche del viaggio spaziale e coprire le immense distanze del viaggio interstellare, cercano di esplorare nuove dimensioni. Il granturco è l'unica coltivazione ancora in grado di crescere e loro sono intenzionati a trovare nuovi luoghi adatti a coltivarlo per il bene dell'umanità.
Teaser Trailer Interstellar
Recensione Interstellar
1997. L’allora ventisettenne Christopher Nolan dirige un breve cortometraggio, questo. Sullo scadere dei tre minuti, Doodlebug mostra il protagonista che osserva sé stesso mentre si
autodistrugge. Per capire a cosa ci riferiamo, dategli un’occhiata. Prendendo per buono che abbiate già provveduto, passiamo oltre. Diciassette anni dopo quel ragazzo londinese non ha più bisogno
di fare fondo al proprio salario per pagarsi i suoi lavori, eppure, in qualche stranissimo modo, Interstellar c’era già all’epoca. E proprio in quel finale, che è un affacciarsi sul suo
finale.
Un film che conferma il cinema di Nolan, le sue peculiarità, i suoi “limiti”, con la solita, ammaliante chiarezza. Intimo, come solo le sue opere sanno esserlo, perché in fondo il regista de Il
cavaliere oscuro a ‘sto giro non fa altro che spostare il ditino che indica il cielo e portarselo all’altezza del petto: non tra le stelle bensì nel cuore dell’uomo, di ciascun uomo, si cela il
vero mistero di ogni cosa.
Frasi che ci riportano a Sant’Agostino, giusto per dire quanto trasversale, anche stavolta, riesce ad essere il più astuto e consapevole cineasta della sua generazione. Uno legge che per scrivere
la sceneggiatura di Interstellar ci sono voluti corsi intensivi di Fisica teorica, nonché l’ausilio di un esperto del settore, quel Kip Thorne che è anche uno dei produttori esecutivi, e
s’immagina chissà cosa. Ma questo non è certo un film per chi è abituato a vederli con righello, calcolatrice e compasso in mano. Anzi, costoro sono i primi che dovrebbero tenersi alla larga da
Interstellar.
La Terra versa in condizioni disastrose, e l’unica possibilità è quella di trovare un pianeta le cui condizioni siano altrettanto favorevoli alla vita dell’uomo, così potervi trasferire l’intera
umanità. Un’umanità per cui le risorse vanno sempre più scarseggiando, ed allora la NASA, o quel che ne è rimasto, escogita un piano che prevede un’esplorazione interstellare alla ricerca di un
luogo adatto a diventare la nuova casa dell’uomo. L’idea si palesa a seguito dell’improvvisa comparsa di un wormhole, un buco nero, che permetterebbe di raggiungere altre galassie altrimenti
irraggiungibili.
Per la missione viene scelto un ex-pilota di astronavi, Cooper (Matthew McConaughey), reimpiegatosi nel settore agricolo perché oramai di figure come la sua non c’è più bisogno. Solo
attraversando quel misterioso buco a forma di sfera nello spazio si possono avere le risposte che l’uomo sta cercando, ma di cui ha soprattutto un disperato bisogno. Nondimeno, questa non è che
una parte di Interstellar.
Perché di fianco a questa spedizione concepita per salvare l’umanità c’è la vicenda personale di Cooper e di sua figlia Murph, nonché di una promessa: quella di ritornare a casa. Perciò un film
fortemente incentrato sui sentimenti, ma in maniera oltremodo intelligente. Nel tentativo di sondare l’infinito che sta fuori, Nolan s’industria con non meno impegno nel manifestare la sua
meraviglia per ciò che ogni persona porta dentro. È su questo doppio binario che procede Interstellar, senza venire mai meno, fino a quegli immancabili trenta minuti (o giù di lì) finali, il cui
picco emotivo precipita in picchiata, fino all’ultima inquadratura. Solo allora, infatti, dopo aver spremuto persino l’ultimo dei suoi quadri, lo schermo diventa nero e appare la scritta
“Directed by Christopher Nolan”. Non prima.
Perché sia chiaro, Nolan è uno di quei registi che se gli si presenta l'opportunità di suscitare la più piccola delle emozioni, fosse pure un minuscolo brandello, non ci pensa due volte a
sacrificare qualsivoglia “coerenza” o “credibilità” interna alla narrazione; da qui scorciatoie, presunti buchi di scrittura, che espongono le sue sceneggiature alle ire di molti. Ma per quanto
ci riguarda si tratta di soppesare il solito costo/beneficio: ciò che s’intende ottenere ha un valore maggiore rispetto a quello a cui si rinuncia? Anche stavolta la risposta è un sonoro sì. Non
si tratta del più classico dei «basta chiudere un occhio». Sfidiamo chiunque a trovare in circolazione un cineasta che a quei livelli, con quel budget, quelle pressioni e tutto ciò che ne
consegue, riesce a sfornarti un film così personale e al tempo stesso stratificato, potente, per lo più nei tempi di lavorazione ristretti di un polpettone hollywoodiano.
Nolan manifesta ancora una volta una fiducia totale nelle sue storie, alle quali si consegna senza riserve, perché sa che, al netto di tutte le critiche (alcune delle quali persino fondate) che
riceverà, la sua storia avrà ragione. E così è infatti, anche con Interstellar. A questo viene integrato un occhio la cui ispirazione è tanto più inusuale quanto efficace, con certe panoramiche
che lasciano tramortiti. Ma in generale è l’armonia del tutto che è più della somma delle sue parti, per cui isolare una sola componente appare fuorviante. Nuovamente salteranno fuori quelli che
«Hans Zimmer non se ne può più», quelli che «ha fatto di meglio», così come quegli altri che «tanto rumore per nulla».
Ed invece la dote encomiabile di Nolan è quella di riuscire a filtrare emozioni, sentimenti e quant’altro di analogo accostando a ragionamenti complessi frasi semplici, scene tutt’altro che
elaborate, specie quando si arriva al punto di dover toccare i tasti giusti. Non a caso Interstellar è sorprendentemente semplice per una storia così complessa, ma è al tempo stesso un film
sorprendentemente complesso per delle dinamiche relazionali così semplici. Tale abilità di tenere a bada una narrazione che potrebbe partire per la tangente e perdersi da un momento all’altro non
può che essere espressione di una padronanza di linguaggio e di una conoscenza dei fini che non si prestano ad ambiguità. Perché Nolan sa esattamente ciò che vuole ottenere, e sa altrettanto bene
come arrivare ad ottenerlo.
Relatività, quinta dimensione e speculazioni analoghe altro non sono che filosofia più che scienza, perciò a noi non resta che registrarle come ipotesi e nulla più, accontentandoci di comprendere
fin dove possiamo. Ma il bello è che tra una stretta al cuore e l’altra, Interstellar ti obbliga a ragionare, a chiederti, fuor di dissertazioni accademiche, in che misura tutto ciò che vediamo
ci riguarda. Per spiegare che la risposta va oltre lo spazio ed il tempo, consumandosi in quell’atto d’amore di cui la dimensione spaziotemporale non ci dice né può dirci nulla. Le emozioni sono
“più” del tempo che ci imprigiona, sebbene non si afferri bene in che senso: avvicinarsi ad un valore che sostituisca quel “più” ci porta a cogliere il significato del film. O quantomeno la sua
portata.
Non fatevi perciò incastrare da chi vi mostrerà calcoli e tabelle per dimostrare una presunta inconsistenza scientifica; né fatevi mettere sotto da chi della coerenza ne ha fatto un idolo, al cui
obolo va sacrificato tutto fuorché l’unica cosa che andrebbe sacrificata davvero, ossia la coerenza stessa. Perché questo rocambolesco viaggio attraverso le galassie ha uno scopo ben preciso, ed
evidentemente nel XXI secolo serve uno scorcio mozzafiato di Saturno per dar ragione a quel proverbio tedesco, che sulla falsa riga del latino Orazio, recita: «Il viaggiare cambia le stelle, ma
né la testa né il cervello». E talvolta c’è più in una stanza che nell’infinito che ci sovrasta.